Io, raccoglitrice di simboli,
mi scrivo addosso.

giovedì 1 settembre 2011

Sto godendo o sto agonizzando di glucide apparizioni a catena, simili a Madonne vestite di edera e paillettes.
Sono le 17.00 e mi sento su di giri. Sono su di giri.
Quasi come ieri sera. Qui dentro cominciamo ad essere in troppi. 171 centimetri di nervi o emozione? Mi sento un fluire satinato senza occhi e mi sto domandando se gli altri mi vedono, ora, oppure no. Prendo saluti con ricevuta di ritorno, e questo mi fa pensare che io sia ancora qui con voi.  Mi cerco. Mi cerco per vivermi e mi ritrovo appesa ai punti interrogativi. Continuo a perdermi.
Altro che la pianta rampicante di prima! Sono una tempesta acquatica che si sposta in volo. Viola di ematoma. Una sirena del cielo che si getta sull’amo di un amore, per avventura.
Sono le 18 e io continuo a girare. A farlo dentro la testa. E mi vedo sanguinare perché sbatto all’impazzata contro spigoli di pensieri in contrasto.
Come posso fare per risolvermi o venirmi incontro?
E piangerò ancora dopo questa mia ciclotimica andatura di parole… Perché non resterà niente. Mia conosciuta condanna, effetto di una esigenza vitale. La scrittura sta a me, come l'embrione morto di un volgare sesso occasionale.
Perché nessuna realtà mi basta mai? Perchè nessuna grandezza che mi misuri? Perché svolgo smorfie d’imbarazzo nel pubblico, senza nascondere il sopracciglio traverso? Perché non c’è un versetto che mi denoti?
Tutte le canzoni rock, ma proprio tutte, incapaci di accompagnare il mio sfogo reazionario. Sfuoco da seduta e non posso neppure slentarmi i bottoni. Nessun sapore alto abbastanza per le mie papille regali. Soffro. Soffro tutte le volte trasformazioni che non so gestire. E sempre di più mi sento separata. Unanime nella follia. Io stessa impressionata e impreziosita. Senza codice di avviamento postale e senza gruppo sanguigno. Il lamento di mille assenze. Un  talento nello spreco. Una cuoca petulante che sfama gli inetti.
“Prego. Tovagliolo a destra. Piatto al centro. Forchetta in testa e coltello in pieno petto!”.
E prima la testa. Fronte troppo alta e un neo nel mezzo che distrugge. Ho tutti i sintomi di una morte apparente.
Ma dove cazzo sono?
Sono le 18.37 e sono ancora qui a puntarmi sta revolver in testa. Perché non alzo la cornetta per chiamarlo? Perché questa preferenza dialettale? Mi sento invasa. Ma da chi? Ogni tanto mi si rompono gli argini dentro, e il nucleo fuoriesce, come una lava a bruciarmi tutta. Come posso dare la colpa al secondo caffè delle 12 per questo mio stato così tanto alterato? E l’alterazione mi travolge su tutti i fronti. Mi sento amplificata in tutto. Nella mente, nel movimento e nelle emozioni.
E preciso una fame zero. Un appetito mille. Un desiderio che sanguina sul nascere. Un desiderio consapevole. Un cadavere partorito in tavola.
Torna. Torna in te.
Torna qui e ora.
Una forza che non produce. Un potere questo, che mi uccide.

Questo mio esordire poi, credo si manifesti più di frequente, nei giorni in cui non faccio del nutrimento un veleno. Nei giorni di non (ab)buffa-azione.
Vorrei poter sporcare nasi altri con la farina della mia cucina, senza subire punizioni. E vorrei smettere di pensare a dei vorrei. Vorrei smettere di urlare che vorrei. Vorrei.
E’ il momento di sfiatare.
Lascio, ma resto percossa.

Come dice un verso di Piero Pelù: …

...............................................e giro di notte con le anime perse.

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